Riccardo Gerbino

Tablā e Percussioni

Tablā

Il tablā è lo strumento a percussione più popolare dell’India.

Probabilmente lo strumento a percussione più complesso al mondo. Non si tratta infatti di un semplice strumento a percussione, ma di qualcosa di più composito, come ben definisce il mio maestro, Pandit Sankha Chatterjee:

«The Tabla is not for drumming but for playing, it is a self-supported instrument and can be played solo like any other instrument

Il tablā è uno strumento composto da una coppia di tamburi a una sola membrana.

Il più piccolo dei due tamburi è in legno, il dāyā, o dayāṅ, comunemente chiamato tablā ed è posizionato alla destra del percussionista. L’altro, un piccolo timpano di metallo, detto bhāyā (letteralmente esterno), o bāyān, sta alla sinistra del percussionista. Due tamburi diversi, per forme e materiali, che costituiscono, mi piace ribadirlo, uno strumento unico al mondo.

È difficile tracciare un percorso storico riguardo alle origini del tablā:

sono incerte e non trovano né riscontro storico, né possibilità di essere datate. In alternativa hanno trovato luogo, come spesso accade nella storia della musica indiana, leggende e ipotesi sulla paternità dello strumento. Da una parte c’è chi attribuisce l’invenzione del tablā, come di molti altri strumenti, all’avvento della cultura islamica, dall’altra chi asserisce che lo strumento è di origine locale e preislamica. Unica certezza è che il tablā è uno strumento del sistema musicale indostano, cioè dell’India del nord, non essendosi diffuso nel sistema carnatico dell’India del sud.

Da un punto di vista etimologico, il termine tablā sembra provenire dall’arabo

tabl, che indica, genericamente, il tamburo, mentre alcune fonti attribuiscono l’etimologia al persiano tablā, anche se del termine, riferito allo strumento, non fa menzione Abū’l Fazl, storico di corte dell’imperatore Akbar, XVI secolo. Altra possibile ipotesi etimologica mette in relazione i termini tablā e tabl-jang, tamburo da guerra in uso ai tempi dell’invasione di Babur, nel 1526.

La tendenza indiana ad avallare mitologicamente gli eventi importanti, soprattutto quando privi di riscontro storico, ha diffuso la leggenda che vede Amīr Khūsrau, musicista, poeta, e santo sufi, alla corte di Allauddin tra il XIII e il XIV secolo, quale inventore del tablā.

Ma ciò risulta assai improbabile perché, nella trattatistica musicale, il tablā non compare fino al XVIII secolo, e lo stesso Amīr Khūsrau non ne fa menzione nei suoi scritti. Tra i sostenitori delle origini hindu del tablā, Chaitanya Deva ritiene che questo tipo di tamburo sia derivato dalla separazione in due parti della pakhāwaj, con l’intento di alleggerirne il suono, per renderlo più adatto al nuovo genere musicale, il khayāl.

Questa ipotesi, se pur bizzarra, trova riscontro nella somiglianza, timbrica ed estetica, di uno dei due tamburi che forma lo strumento, il dhāyān, con la pakhāwaj.

Possiamo comunque andare oltre,

asserendo che la fortuna del tablā è quella di aver concentrato in un unico strumento le qualità dei tamburi in uso prima della sua invenzione, e che poi ha soppiantato: la peculiarità timbrica della pakhāwaj, dalle lunghe e complesse composizioni; il pulsare e il ritmo della danza del dholak, e la rapidità e la velocità di esecuzione del naqqāra.

La tecnica del tablā è basata, dall’apprendimento all’esecuzione, su un linguaggio formato da sillabe,

bol, letteralmente parole, che sono caratteristiche della musica e della danza indiane. Si tratta di sillabe mnemotecniche e onomatopeiche, che riproducono i suoni da ottenere sullo strumento.

Nella cultura tradizionale indiana, l’insegnamento di ogni disciplina, dalle arti al sapere religioso o filosofico, è avvenuto nei secoli, e tuttora avviene, attraverso il rapporto di trasmissione diretta da maestro, il guru, ad allievo, lo śişya, secondo la tradizione detta Guru-śişya Parampara.

Consolidata da secoli anche in ambito musicale, questa tradizione è perpetuata ancora oggi, ed è spesso vista come unico possibile sistema di apprendimento, e in questa prospettiva, il ruolo del guru ha assunto notevole importanza.

L’apprendimento avviene attraverso la memorizzazione dei contenuti musicali da eseguire, dai primi semplici passi, fino alle composizioni più sofisticate. Tale processo è uguale sia per la voce che per tutti gli strumenti: non esiste, in India, la lettura della musica, come invece avviene nella musica classica occidentale. Essendo stata tramandata per via orale, la musica indiana non ha un sistema efficace di scrittura.

Nel contesto della musica classica indiana, il tablā può eseguire l’accompagnamento del rāga o essere solista con un repertorio infinito di composizioni.

In entrambi i casi suona sul tāla, letteralmente ciclo ritmico, caratteristica peculiare della musica indiana. Esso non è il ritmo, così come inteso dal punto di vista occidentale, ma, citando ancora il mio maestro Pandit Sankha Chatterjee,

«Il tāla è un arrangiamento ritmico di pulsazioni in maniera ciclica

Il tablā, oltre ad essere uno degli strumenti più importanti della musica classica indostana, ha trovato in India largo impiego,

sia nelle forme semi-classiche, che nelle musiche per film e nel pop. Anche in Occidente il tablā, balzato all’attenzione del pubblico e dei musicisti a partire dalla seconda metà del XX secolo, è stato utilizzato nei generi più disparati, dalla musica colta fino alle forme attuali come Rave music, Jungle, Ambient, Bhangra, Hip hop, Tekno, World music, ecc.

Se generalmente le percussioni vengono utilizzate per colorare la musica, il tablā, nella sua infinita varietà timbrica e sonora, contiene l’intero spettro dei colori, o, prendendo in prestito la speculazione filosofica indiana, contiene i mille e otto colori. In conclusione, parafrasando quanto espresso all’inizio di questa trattazione dal mio maestro Pandit Sankha Chatterjee, il tablā è uno strumento talmente completo da essere percepito come il pianoforte delle percussioni.